venerdì 7 gennaio 2011

"La solitudine" di Pier Paolo Pasolini


Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
- e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
E’ il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.

“bisogna essere molto forti per amare la solitudine”. Con questo semplice verso Pasolini apre il suo frammento dedicato alla solitudine; e in queste poche parole, fissate sul foglio come una massima inconfutabile, come una sorta di dichiarazione di poetica è già possibile sentire tutta l’eroica rassegnazione del poeta ad un amore difficile, quello  per una consorte senza volto e senza fiato: la solitudine, appunto.
Questa è infatti elemento imprescindibile per chiunque voglia farsi poeta, veicolare la realtà e filtrarla attraverso la propria vita, la propria riflessione per poi, infine, poterla presentare agli altri così com’è, vera, con il suo bene ed il suo male. Infatti per comprendere la realtà, per riuscire a racchiudere la sua essenza nello spazio limitato di una poesia, di uno sguardo, è necessario che il poeta indietreggi, come il pittore che per assicurarsi della riuscita della propria opera si allontana, e questa distanza è per il poeta la sua solitudine.
Ma la solitudine non è una condizione piacevole per l’uomo, è una condizione difficilmente sopportabile; essa mostra all’essere umano tutta la miseria della sua vita e mina con pensieri troppo pesanti e malsani lo scorrere dei suoi giorni. Questi pensieri vanno oltre la natura carnale dell’uomo, la sua vita vissuta in un rapporto continuo con altri esseri umani, e lo conducono irrimediabilmente a rendere conto a se stesso di se stesso, a confrontarsi con una realtà di cui sente la confusione e l’assurdità. È proprio per questo motivo che Pasolini afferma la necessità essere forti per amarla, per sopportarne il peso lungo i giorni della vita; ed è bene sapere che la solitudine è una consorte fedele, forse l’unica che non tradirà mai, per prima, chi la sceglie.
Pasolini dice anche che: “bisogna avere buone gambe e una resistenza fuori del comune”; questo perché la condizione di solitudine, per sua natura, spinge l’uomo a camminare, a muoversi, per evitare che i pensieri, troppo pesanti, stagnino e diventino insopportabili; e poi è caratteristica propria del poeta quella di camminare: il suo passo lento e ciondolante lo spinge a guardarsi attorno, a cercare quella verità così preziosa per le sue parole.
Chi sposa la solitudine non deve temere rapinatori o assassini poiché non ha nulla da perdere, nessuno da dover abbandonare, l’unica sua ricchezza è ciò che non ha, quello spazio di nulla che lo circonda.
E per lui nessun conforto è possibile, nessuno, tranne forse una tremenda libertà, troppo desolata, nella quale smarrirsi in un deserto senza limiti. Anche gli incontri che si accostano al cammino della solitudine, non bastano a spezzarla, “non sono che momenti della solitudine”, e “il sesso è un pretesto”, una ragione assurda che spinge l’uomo solo a cercare il calore di un corpo, quando il suo piacere, la sua gioia, non hanno nulla a che vedere con quel corpo gentile, bensì con il deserto che rimane quando il seme è andato perduto. Ed è per questo motivo che Pasolini elogia gli amori giovanili, quegli amori sprecati, in cui nulla muta dopo che l’atto è stato compiuto; esso non è che un atto fine a se stesso, un rito pagano che si ripete senza alcun significato.
Nella terza strofa della poesia il poeta allarga il suo punto di vista: ora non è più l’uomo solo ad essere catturato dal suo sguardo, ma è la grande folla degli uomini soli, e ognuno attende pazientemente il suo turno per sparire, per fuggire dalla vita, senza abbandonarsi alla malsana voglia di lasciarsi morire.
“Invecchiando però la stanchezza comincia a farsi sentire”, e la solitudine diventa un peso insostenibile: tanto che nell’ora più tremenda, quella della sera, in cui grava ancora il peso del giorno appena trascorso, il poeta sente irrompere dalla gola un urlo, un pianto. Ma deve resistere, deve lottare con questa debolezza, perché se si abbandonasse alla stanchezza, se si facesse schiacciare dal peso della solitudine e la rompesse, allora non potrebbe più soddisfare il suo desiderio di distacco, di silenzio, di solitudine.
Dunque la solitudine è sì, un tremendo peso, ma è anche un amore: un amore per la libertà, per la verità, e per percorrere le povere strade del mondo. Bisogna essere allo stesso tempo “disgraziati e forti”, bisogna essere “fratelli dei cani.”
                                                                                                                                                      
                                                                                                                                                          M. G.                           

4 commenti:

  1. Complimenti, complimenti, ancora complimenti per questo blog che scintilla di poesia, di letteratura e di desiderio di preservarla e tramandarla!

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  2. Che tempra ci vuole r macina la vita...

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  3. temo che siamo a un punto dove forse necessita più coraggio vivere nel "sociale" che ritirarsi in solitudine

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